L’amicizia ai sali d’argento di Gianni Berengo Gardin e Elliott Erwitt

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New York, 1953 - ©Elliott Erwitt/Magnum Photos/ContrastoUna mostra questa che riconcilia, se ce ne fosse bisogno, con  l’eleganza mai scontata della fotografia in bianco e nero. Soprattutto se a interpretarla sono due maestri della camera oscura come Gianni Berengo Gardin (1930) e Elliott Erwitt (1928). Diceva Cartier-Bresson , che non amava le  foto a colori perché non gli sembravano artistiche come quelle in bianco e nero ma semmai avevano un tratto più documentario; ne fece per delle riviste, e nella mostra all’Ara Pacis si possono vedere. (Peraltro HCB amava molto una foto  di Berengo Gardin, che ne parla in questa intervista). A vedere gli scatti – in mostra all’Auditorium Parco della Musica di Roma – di questi due fuoriclasse messi a confronto – molte celebri, altre poco note, altre ancora appena realizzate e mai mostrate finora – non si possono non cogliere con due stili diversi una simile intensità e un generoso coinvolgimento per le storie che hanno saputo raccontare. 

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Nei centoventi scatti, realizzati dai primi anni Cinquanta ad oggi, rimbalzano le loro rispettive evocazioni, nutrite anche dell’amicizia nata nella camera oscura, alle prese con i sali d’argento. Sembra molto tempo fa, nell’oggi dominato dalla tecnica digitale; eppure, assicura Berengo Gardin, in questo periodo, forse saturati da troppe brutte immagini, si sta riscoprendo il fascino della fotografia analogica. Sulle derive del gusto fotografico prêt-à-porter ha scritto di recente Roberto Cotroneo riscuotendo grande seguito tra i lettori dei social network.

Hanno cominciato a fotografare quasi nello stesso periodo, e sono tra gli ultimi rimasti a usare a questo livello i sali d’argento. Anche la loro curiosità verso il mondo non si è affievolita:  Berengo Gardin ha fatto un importante reportage di denuncia sulle grandi navi a Venezia; Elliott Erwitt nel suo ultimo lavoro ha raccontato la Scozia.

Toscana, 1965 ©Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la fotografia

Toscana, 1965 ©Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la fotografia

Non sono un artista, sono un fotografo che documenta la sua epoca. A Elliott mi accomuna questo, abbiamo la stessa concezione della fotografia, ha detto Gianni Berengo Gardin all’anteprima della mostra. L’ho sempre ammirato e siamo amici da anni, e poi è a lui che devo la mia evoluzione come fotografo. E ha ricordato quando, negli anni Cinquanta a Milano, rimase folgorato dall’esposizione di Erwitt The Family of Man. A colpirlo in particolare una fotografia (in alto), scattata a New York nel 1953, che ritraeva sul letto la sua prima moglie, la figlia e il gatto: era un genere totalmente nuovo, così lontano dallo stile retorico a cui ci aveva abituato il fascismo. Io ero ancora un fotoamatore, per me fu un cambiamento totale nel modo di vedere le cose.

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