Ci sono foto destinate a cambiare per sempre la percezione di un fenomeno. Le foto che mostrano il corpo senza vita di un bambino su una spiaggia di Bodrum – qui una riflessione sugli scatti pubblicati dalla stampa britannica – hanno virato con i colori di un dramma insostenibile la crisi dei migranti. Queste immagini scuotono le coscienze, ma resta da scoprire quanto potranno incidere sulla direzione delle politiche di accoglienza e sull’Europa nella quale ci riconosciamo.
E’ questo infatti il punto cruciale, come ha fatto notare con lucidità Susan Sontag nel saggio Davanti al dolore degli altri, affinché la foto straziante dell’infanzia falcidiata nella corsa per mettersi in salvo – se non per vivere ‘come gli altri’ – non diventi uno spettacolo offerto dai media a un pubblico sempre più vouyeuristico e assuefatto alla violenza.
La fotografia – queste immagini più che mai – è un documento che dovrebbe produrre un pensiero critico, non solo reazioni emotive. Spesso si dice che le immagini di guerra ci lasciano ormai apatici, ma non è detto che esserne commossi sia la reazione ottimale, fa notare Susan Sontag. La reazione ottimale è il pensiero che l’immagine suscita. La rappresentazione interroga la nostra coscienza, pone domande alla nostra mente. Deve farci pensare che quella cosa accade davvero, e perché accade, e chi la mette in essere.
Queste foto ci ricordano quello che scrisse la stessa Sontag quando vide per la prima volta le immagini della Shoah, nei campi di Bergen-Belsen e Dachau. Non ho mai visto nulla – nelle foto o nella vita reale – che mi abbia ferito così nettamente, profondamente, istantaneamente. In effetti, mi sembra plausibile dividere la mia vita in due parti, prima di vedere quelle fotografie (avevo dodici anni) e dopo. A cosa era servito vederle? Erano solo fotografie – di un evento di cui avevo appena sentito parlare e che non potevo fare nulla per influenzare, di una sofferenza che non riuscivo a immaginare e che non potevo fare nulla per alleviare. Quando ho guardato quelle fotografie, qualcosa si è spezzato. Un limite era stato raggiunto, e non solo di orrore. Mi sentivo irrevocabilmente addolorata, ferita, ma una parte dei miei sentimenti ha cominciato a rimpicciolirsi; qualcosa è morto; qualcosa sta ancora piangendo.
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Aylan, 3 anni, morto su una spiaggia