«Il più autorevole rappresentante del Surrealismo implosivo e citazionista è senza dubbio l’inglese Cecil Beaton (1904-1980) che, pur accreditandosi come fotografo puro impegnato professionalmente nella moda e nella ritrattistica, ebbe contatti diretti e decisivi con l’avanguardia bretoniana. La vocazione che fotograficamente Beaton dimostra per la messa in scena complessa e spesso sontuosa, per il trasformismo sofisticato, per la citazione fantasiosa e eclettica, più che derivare a senso unico, come solitamente si dice, dalla sua pur grande passione per il teatro, è probabilmente meglio comprensibile se si considera la molteplicità d’interessi che lo fece contemporaneamente essere stilista di moda, coreografo, scenografo, pittore e naturalmente fotografo. La voglia, per non dire la necessità, di tenere aperte pratiche diverse e di non specializzarsi con esclusività in nessuna di esse lo portò a concepire una fotografia che inequivocabilmente reca i segnali della teatralità, del pittoricismo della finzione e della messa in scena.
Il citazionismo di Beaton così, anzichè svilupparsi a senso unico verso un passato più o meno lontano, si nutre anche di rimandi sincronici verso le altre discipline che attraggono i suoi interessi e la sua curiosità. Del resto Beaton, pur essendo ben consapevole che la fotografia costituiva la sua prima fonte di reddito, ebbe sempre un certo distacco aristocratico nei confronti del tecnicismo che la professione richiedeva. (…) Più che un tecnico dell’obiettivo, Beaton voleva giustamente apparire un inventore di atmosfere, un costruttore di sogni capace di mischiare con grande credibilità riferimenti non immediatamente omogenei fra loro. E’ così che nelle sue immagini certi echi del citazionismo dechirichiano, fatto di rimandi e stili artistici del passato come il Neomedioevalismo o il Barocco, si mischiano a stereotipate caratterizzazioni letterarie, a ventate di esotismo, a richiami della cultura psicanalitica del doppio, costantemente evocata attraverso l’uso frequentissimo di specchi o di superfici riflettenti.» (da C. Marra, Fotografia e pittura nel Novecento, Bruno Mondadori, pgg. 107-109)