La cosa più divertente, sconosciuta a molti, della grande mostra di Henri Cartier-Bresson all’Ara Pacis era un filmato (sopra) in cui si vedeva il fotografo camminare tra la folla, saltellare, scattare veloce. Un modo, il suo, di avvicinarsi ai soggetti con grazia veloce, “a passi felpati” come lui ricorda nell’intervista a Yvonne Baby . Un rapace di immagini con movenze da ballerino.
«A lei dispiace stare ai margini?
Per niente. Non voglio che mi riconoscano, e spesso vengo scambiato per un tedesco o un inglese. Se per caso qualcuno scopre chi sono, dice: “Questo è il Tal dei Tali” ma la foto è già stata scattata. E’ fantastico che ci siano tanti turisti con le macchine fotografiche: grazie a loro ci si confonde con la folla e si può osservare e lavorare con una certa tranquillità. Inoltre, mi sembra importante che, in un’epoca in cui spesso si tende a un individualismo ipertrofico, molte fotografie esibiscano una sensibilità comune e un aspetto quasi anonimo. Bisogna viaggiare leggeri (io ho un apparecchio da cui non mi separo mai e solo quando vado a scattare un reportage mi porto due obiettivi in più) e avvicinarsi a passi felpati: non si agita l’acqua se si vuole pescare.
Un giorno che scattavo foto a una vendita di gioielli, una signora si è rivolta a me, preoccupata: voleva sapere se ero un giornalista. Per via delle mie origini normanne, non ho risposto né sì né no, ma solo: “Sono un maniaco”. “Perfetto” ha detto la signora “continui pure”. E’ proprio così, la fotografia per me è una mania, un’ossessione, un fanatismo.»
da Henri Cartier-Bresson, Vedere è tutto – Interviste e conversazioni, Contrasto, pgg. 42-43