«Quasi tutti i personaggi delle sue fotografie sembrano non accorgersi della loro “stranezza” o bruttezza”. La Arbus fotografa persone in diversi gradi di rapporto, inconscio o inconsapevole, con la propria sofferenza e la propria sgradevolezza. Ciò limita necessariamente le forme di orrore che si sentiva indotta a fotografare: esclude i sofferenti che sanno presumibilmente di soffrire, come le vittime di incidenti, guerre, carestie e persecuzioni politiche. La Arbus non avrebbe mai fotografato un incidente, cioè un evento che irrompe in una vita; si era specializzata in lenti tracolli personali, le cui origini risalivano in genere alla nascita del soggetto. (…) Quando Diane Arbus fotografa in un parco pubblico il “bambino con bombe giocattolo”, non indica altra realtà che quella fissata sulla pellicola e cioè: ognuno per sé e la società contro tutti! Il bambino è la risposta compiuta di un gioco di guerra, teoria e pratica di liberazione, rottura del tabù; “chi trasgredisce un tabù, lui stesso diventa tabù” (Narthcote W. Thomas) e acquisisce “la pericolosa proprietà di indurre gli altri a seguire il suo esempio Quest’uomo suscita invidia. Infatti, perché a lui dovrebbe essere concesso quello che agli altri è proibito? Egli, dunque, risulta realmente CONTAGIOSO, in quanto induce col suo esempio alla tentazione: pertanto deve essere evitato” (Freud, Totem e tabù)».
(da Pino Bertelli, Della fotografia trasgressiva, TraccEdizioni, pgg. 13-14 e 68) Continua a leggere