Il portfolio fotografico

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coverCos’è il portfolio fotografico? Sara Munari, fotografa e docente di storia della fotografia e comunicazione visiva, lo spiega in modo chiaro e sintetico in un libro.

Un portfolio fotografico è semplicemente una raccolta di immagini del vostro lavoro. Il numero varia dalle 15 alle 50 a seconda della destinazione e successivo utilizzo.
Sul piano commerciale il  portfolio è una selezione di immagini che rappresenti un’idea complessiva delle proprie attitudini lavorative da proporre ai possibili futuri clienti. Sul piano artistico il portfolio è una successione di fotografie collegate, il cui accostamento comunichi la capacità dell’autore di descrivere un fatto o un soggetto, attraverso l’idea progettuale e visiva che ha avuto.
L’errore comune è credere che debba essere il meglio di quanto abbiate mai prodotto. Anche se può essere vero in alcuni casi, è più probabile che si tratti di una serie di fotografie su un tema univoco, nel quale si sia mantenuto lo stesso stile espressivo.

I giornali oggi sono pieni di foto-progetti. Cosa ne pensa? Secondo lei abbiamo una cultura media aumentata per questa esplosione del fotografico sui mass media e nel Web?
Credo che dedicare spazio ad un portfolio, piuttosto che ad una singola fotografia, permetta al fruitore di farsi un’idea più consistente su cosa voglia dire “parlare fotograficamente”.
Siamo nell’epoca del ”mi piace” facebookkiano (con la k doppia di proposito!), questo implica un impoverimento del messaggio legato ad un lavoro prodotto in funzione del racconto di un evento o un soggetto.
Riuscire a pubblicare progetti per intero, potrebbe migliorare la cultura visiva di molti, a mio parere.
Purtroppo sono pochi i giornali cartacei che lo fanno, si ha forse qualche opportunità in più sul web.
Il web, del resto,  è però invaso da fotografie tra le più disparate.
La maggior parte dei “fotografi” (chi fa fotografie non è sempre un fotografo…come chi fa foto “perfette”, non è sempre un professionista!) non conosce e non vuole conoscere la responsabilità legata alla produzione di immagini, quindi abbiamo di fronte un flusso continuo di immagini dal contenuto sia estetico, che concettuale, molto scarso.

Siamo così inondati di immagini che a un certo punto lei scrive che non si legge e non si guarda più, si scansiona, e il fotografo deve riuscire a bloccare l’osservatore durante la scansione. Cosa serve a una foto per bloccarci a guardarla con attenzione?
A mio parere una foto, per colpire l’attenzione del fruitore, deve contenere almeno una eccezione!
Qualcosa a cui, l’autore, grazie alla sua capacità espressiva, è arrivato prima del fruitore.
Di fronte ad un’eccezione, ad una domanda, chi guarda la foto si ferma e tenta di comprendere.
Poi ci sono le foto potenti per un’estetica eccezionale, anche queste ci fanno soffermare, ma per quanto riguarda me, le scordo prima.
Fare in modo che chi osserva, si ponga una domanda e svelare in parte la risposta, è il compito, a mio parere, di un bravo Fotografo. 

In un’intervista sulla esposizione da lei curata per Paris Photo con le foto di Mapplethorpe, Isabelle Huppert sostiene che l’arte e la fotografia sono diventate seduttive come e più del cinema. E’ d’accordo? Cosa può aver creato questo rinascimento dell’immagine?
Con l’avvento del digitale, sono aumentate fortemente le possibilità degli autori e la quantità di persone che si sono avvicinate alla fotografia.
Oggi la fotografia è parte essenziale del mercato dell’arte. Dagli anni Settanta molti artisti hanno cominciato a lavorare con la fotografia, considerato che da allora il mezzo fotografico si è dimostrato il linguaggio artistico più incisivo per testimoniare i grandi mutamenti socioculturali a livello mondiale.
Sono nati spazi nei quali i fotografi possono discutere le proprie ricerche ed è migliorata la capacità critica di chi, magari prestato dal mondo dell’arte pittorica, si è avvicinato allo studio della fotografia.

Dagli anni Novanta in poi il mezzo fotografico ha subito una grande diffusione, facendo avvicinare numerosi appassionati, questo ha sviluppato dibattiti sulla potenza estetica e concettuale della fotografia, che ha trovato largo spazio nel mondo dell’arte.
Credo siano questi i principali motivi per cui oggi si possa considerare seduttiva al pari degli altri mezzi di comunicazione.

Mi dice tre nomi di fotografi per lei assolutamente imprescindibili?
Beh, ce ne sarebbero davvero tanti, ma se devo proprio sceglierne pochi: Jacques Lartigue; Gyula Halász, conosciuto con lo pseudonimo di Brassaï; Daido Moriyama; Michael Ackerman; Joan Fontcuberta; Francesc Català Roca.

Waterproof
Per questo lavoro, mi sono ispirata sia alle favole del folklore bulgaro, sia alle leggende urbane che soffiano sulla città di Sofia. Un incontro tra sacro e profano, suoni sordi che ‘dialogano’ tra di loro permettendomi di interpretare la voce degli spiriti della città. Ogni immagine è una piccola storia indipendente che tenta di esprimere rituali, bugie, malinconia e segreti. La capitale offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, la bellezza spettrale da cui è avvolta dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. (Sara Munari)

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