Narciso e il self(ie)

Insieme alla quantità dei selfie quotidiani scattati sulla Terra, stanno aumentando gli studi più o meno psicologici applicati al fenomeno. Una nuova branca, sembra essere nata, che si interroga sull’addiction più cool del momento (e sarà un momento lungo). Perché facciamo i selfie? è la domanda a cui risponde la ricerca di Università cattolica e Fondazione Ibsa; gli scopi riconosciuti ai selfie sono soprattutto far ridere e divertire gli altri, la vanità, e raccontare un momento della propria vita. Li fanno più le donne degli uomini. E infine, “le persone che si fanno selfie, rispetto a coloro che non se li fanno, appaiono significativamente più estroverse, più socievoli ed entusiaste, caratterizzate da elevate capacità sociali e più coscienziose, più caute e capaci di controllarsi, con la tendenza a pianificare le proprie azioni piuttosto che ad agire di impulso”. (sic)

Renzi apre secondo giorno Leopolda

Matteo Renzi con due fans alla Leopolda – Foto Federico Bernini/LaPresse

freudNelle giro di poche ore usciva sulle agenzie un’altra analisi, più attenta al lato psico-patologico, di Paolo Chiari, segretario scientifico del Centro milanese di psicanalisi, che al tema ha dedicato un incontro  in occasione dei 100 anni e dalla pubblicazione di Introduzione al narcisismo di Freud.

“Il selfie, l’autoscatto reso facile da smartphone e tablet, è una tentazione a cui pochi sfuggono e che non sempre è innocua, in quanto anche un sintomo di narcisismo, che ha effetti negativi sulle relazioni personali ma è anche un problema sociale, perché “i comportamenti narcisistici degli adulti minano le relazioni fra le persone, danneggiando l’efficienza di aziende e istituzioni”.

Angela Merkel

Angela Merkel con studenti a Gross Gerau – AP Photo/Michael Probst

“Lo schermo dello smartphone è la versione moderna del lago di Narciso, una superficie piatta, senza spessore, in cui ci si specchia. Con il selfie l’immagine viene rinviata su diversi canali e poi torna indietro: resta una continua ricerca della propria immagine”, spiega Paolo Chiari. Il narcisismo, continua l’esperto, “è la ricerca di un sé grandioso che ha bisogno di essere visto e ammirato, ma che nasconde carenze”.

Il selfie, attraverso l’uso dell’immagine, aggiunge Chiari, “testimonia un esserci che non è realmente sentito: insomma una conferma di esistere che viene rimbalzata attraverso dei mezzi, apparentemente di ‘comunicazione’, ma che in realtà restano in superficie e non permettono di creare vere relazioni”. Si tratta di una condizione “molto adolescenziale, comprensibile in questa epoca della vita, in cui è necessario rompere con l’immagine di sé trasmessa dai genitori e in cui si cerca una nuova identità. Il problema è che oggi riguarda molto anche gli adulti. Siamo una società di adolescenti”. Con tutti i rischi e i problemi che ne derivano: “Ci sono disastri personali, legati, all’incapacità di costruire relazioni, e sociali perché al narcisista manca la capacità di cooperare, di stare e lavorare insieme. Ha bisogno solo di primeggiare”.

Insomma, per la prima ricerca i ‘selfiesti’ stanno meglio degli altri, per la seconda sono malati di narcisismo. E pensare che il disturbo narcisistico stava per essere cancellato dal DSM 5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (ma solo perché è così diffuso da essere diventato, almeno per la statistica, ‘normale’). Un fenomeno, quello dei selfie, le cui origini sono state descritte molto bene da Zygmunt Bauman in Amore liquidoDescriveva il desiderio ossimorico di essere dentro alle relazioni,  e fuori allo stesso tempo; l’amore non è più «consegnarsi in ostaggio a un destino», accettare l’incognita che sempre l’Altro rappresenta, ma diventa l’arte di alimentare la «relazione tascabile» sulla quale esiste un controllo totale. Come farsi un selfie e, invece di affidarsi allo sguardo altrui, dire con un semplice gesto: io sono questo.

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Selfie davanti all’anatroccolo gigante di Florentijn Hofman a Seoul – AP Photo/Lee Jin-man